UN AUTUNNO ISOLESE di Sergio Pedemonte

In autunno il colore dei tetti aumenta la mia tristezza.

Ormai la piazza è vuota anche nel primo pomeriggio e poche biciclette sfrecciano nella Strada Vecchia. Nessuno ha il coraggio di sedersi sulle panchine sotto i tigli della piazza.

Ho visto mia madre riporre le scarpe da tennis in una scatola: un altr’anno mi andranno ancora bene?

Alla sera è già freddo ma nessuno porta il cappotto, solo maglioni pungenti dai colori impossibili.

Eppure a scuola si scruta con ansia il cielo per sperare in una giornata di sole che permetta l’esplorazione di Piancastello, Santo Stefano o del Rià Badun; ma alle quattro c’è la dottrina che fa rima con Vittorina. Le pagellette, condotta e profitto, riposano ancora lì su quel tavolino e continuano a indicare che tutta la vita è così: sono un atto di coraggio e responsabilità per chi le compila, sono un monito, uno sprone, un premio, un suggerimento per chi le porta a casa. Non sperate voi giovani che scompaiano per sempre

Poi la pioggia restringe il campo e ci fa rifugiare sotto il voltino di Stecun per monotone partite con le figurine o le grette; ogni tanto facciamo un sopralluogo ai ruscelli che soffiano e spandono un odore di umidità tale da invocare il fuoco della stufa.

Stufa a legna. Non è ancora accesa, troppa grazia Sant'Antonio. Però mio padre sega i roveri, i carpini, i frassini, poco castagno, tutto a mano, e ogni pezzo che cade io lo prendo e lo porto in cantina.

Con Peppi, Liccio e Ginetto raccogliamo mucchi di foglie sul piazzale della Chiesa per buttarcisi dentro con un tuffo dal muretto: ma già le ombre e l’abitudine ci richiamano verso casa.

“A domani”.

Già, a domani, perché non ci sono dubbi, ci rivedremo di nuovo e staremo bene insieme.

E non è poco.