SCAVI ARCHEOLOGICI A SANTO STEFANO DI ISOLA DEL CANTONE


Dopo il Radiocarbonio e il DNA, sono arrivati i primi risultati sugli Isotopi degli scheletri di Santo Stefano. Analisi finanziate da una persona che vuole bene a Isola e che ha già aiutato in altri casi la cultura del nostro paese. Sembra un post esoterico, segreto, ma per adesso occorre un minimo di riservatezza: a primavera speriamo di fare nuove conferenze con il Prof. Paolo De Vingo, l'antropologa Dott.sa Alessandra Cinti, il genetista Prof. Vincenzo Agostini e l'archeologo Dott. G.B. (Gibba) Parodi. Dal centinaio di scheletri esaminati sta uscendo la vera Storia di Isola: come vivevano i nostri antenati, cosa mangiavano, le malattie, se deceduti per morte violenta o di parto, i lavori usuranti, la provenienza geografica ancestrale,  se abitavano qui o erano di passaggio. Nessun paese dell'Oltregiogo mi pare abbia avuto questa possibilità di far luce sul passato al nostro stesso modo. Forse qualche piccolo merito lo ha anche il nostro Centro Culturale


Il metodo del radiocarbonio permette di datare materiali di origine organica (ossa, legno, fibre tessili, semi, carboni di legno, ...) che contengono sia il C14 che il C12. Si tratta di una datazione assoluta, vale a dire in anni calendariali, ed è utilizzabile per materiali di età non più antica di 50.000 anni salvo casi particolari. Gli scheletri per le prove si sono selezionati a varie profondità e il C14 ha confermato i dati archeologici. Le analisi sono state fatte dall'Università del Salento costando 915 euro.

Come detto i risultati saranno esposti in successive conferenze.


 Nella cartolina dei primi decenni del '900 la freccia indica la cappelletta di Santo Stefano ancora in piedi


A partire dal lavoro di campagna coordinato dal dr Giovanni Battista Gibba Parodi che richiedeva perizia nel pulire, fotografare, disegnare, posizionare e orientare il centinaio di scheletri trovati, vi era anche l'aspetto didattico a riguardo dei 78 studenti che in tre anni si sono avvicendati ogni 15 giorni in questa avventura. Il responsabile era il prof. Paolo de Vingo, ordinario della cattedra di Archeologia Cristiana a Torino coadiuvato da sei specialisti e cinque consulenti. I ragazzi abitavano in un appartamento appositamente affittato in cima al paese dove continuavano la catalogazione, la prima ricomposizione e lavatura delle ossa. Per far conoscere Isola, il nostro Centro organizzava gite al Museo Archeologico, al Castello della Pietra e alla chiesa Parrocchiale. Le necessità alimentari, o il pantalone strappato da sostituire, avveniva nei nostri negozi proprio per fare della cultura anche un cespite locale. Non sappiamo con esatezza quanto costò lo scavo (stipendio professionisti, attrezzi, affitto, alimentazione e varie) ma l'ordine di grandezza totale per i tre anni è sui 30.000 euro a carico dell'Università. Tra gli aiuti dati ricordiamo l'ex sindaco Giulio Assale che donò i materassi per i letti e l'attuale sindaco Natale Gatto che fornì la casetta in legno per gli attrezzi


Dopo i lavori sul campo, ossa e scheletri furono portati all'Università di Torino, Settore Scientifico ANTROPOLOGIA. Le dottoresse Rosa Boano e Alessandra Cinti iniziarono così lo studio antropometrico: si trattava innanzitutto di effettuare numerose misure, poi esaminare attentamente ogni reperto alla ricerca di fratture, segni dei parti, stato dei denti, deformazioni e così via. Subito si accorsero che la sintesi delle altezze della popolazione nel corso dei secoli non era lineare, cioé non aumentava in continuazione. Le cause possono essere state carestie, epidemie, immigrazione, cambio di alimentazione. Questi esami portarono alla compilazione di 5 tesi di laurea e ne citiamo una sola: "Indicatori scheletrici di stress ambientale e nutrizionale. Analisi paleopatologica su reperti umani di epoca medievale provenienti dal contesto funerario della Chiesa di Santo Stefano, Isola del Cantone (GE)". A oggi sono stati pubblicati due articoli su una rivista specializzata e un altro è in stampa. L'arco temporale messo in luce dagli scavi (edificio e reperti) va dal X (?) secolo al XVII.


Il prof. Vincenzo Agostini, biologo forense dell’Università degli Studi del Piemonte Orientale, ha fatto le analisi genetiche sui resti ossei che se antichi risultano sempre difficoltose, nel nostro caso risalenti anche al 1000. Per tale operazione sono stati campionati degli elementi dentari e sottoposti ad analisi del DNA che ha permesso di determinare l’aplotipo del Cromosoma Y. Ciò allo scopo di appurare la provenienza geografica ancestrale dello scheletro. Ricercando in database internazionali, è stato possibile stabilire che l’aplotipo di uno degli scheletri del X-XI secolo è tipicamente diffuso nella regione dei Balcani meridionali (Macedonia, Grecia). Significa che circa 10.000 anni fa, nel primo Neolitico, ci fu una variazione genetica in individui che poi nei secoli si spostarono verso ovest sino ad arrivare a Isola. Un risultato inimmaginabile fino a pochi decenni fa quando questa tecnica aveva costi elevatissimi. Oggi il DNA viene utilizzato in ambito poliziesco e nella vita di tutti i giorni per accertare la paternità


Dopo il DNA si è passati all’analisi degli isotopi dello stronzio (87Sr/86Sr) contenuti nello smalto dentale. Infatti ogni individuo assimila attraverso l’alimentazione una quantità di 87Sr e 86Sr legata all’ambiente in cui vive e che dipende dalle rocce presenti, dalla vegetazione, dall’acqua. Chi abita in altre regioni ha nel corpo una quantità diversa degli isotopi citati: ecco che in questo modo si può capire se un inumato è nato/vissuto nei dintorni di dove è sepolto. Il dottor Federico dell’Università di Bologna ha ottenuto dei risultati interessanti appurando che alcuni scheletri sono di persone provenienti da altri luoghi.



Sono in corso ulteriori analisi sul tartaro dei denti, a cura di ricercatrici e borsiste presso il laboratorio di Archeologia biomolecolare dell' Università di Torino (Palaeoproteins): il tartaro dentale, da sempre considerato un grande nemico della nostra salute orale, negli ultimi anni è diventato oggetto di studio della bioarcheologia, poichè al suo interno si conservano tracce che consentono di ricostruire le abitudini alimentari e lo stile di vita delle popolazioni umane antiche. Infatti, durante il processo della sua formazione i microrganismi che popolano il cavo orale (la cosiddetta flora batterica), le microscopiche particelle di cibo ed altri micro-detriti di origine vegetale, animale e/o minerale, assieme a biomolecole sub-fossili (come proteine, lipidi e DNA), possono essere intrappolate e conservate per secoli


Se si vogliono ottenere risultati, nella Cultura come in altri campi, occorre avere un potenziale umano che vi si dedichi e delle risorse finanziarie che permettano l'intervento di professionisti. L'operazione "Santo Stefano" ha fortunatamente goduto di entrambe le necessità: da Paolo de Vingo a Giovanni Battista Gibba Parodi, Alessandra Cinti e Vincenzo Agostini nonché altri ricercatori, una collaudata squadra ha permesso a Isola del Cantone di ottenere informazioni sulla sua Storia impensabili sino a un decennio fa. Tre anni di scavo con gli studi archeologici e antropologici che abbiamo visto sono costati almeno 30.000 euro: in più le analisi al C14, DNA, Isotopi e tartaro sono arrivate a poco meno di 9.000 euro. Solo per Isola? No. Sono state coinvolte le Università di Torino, di Modena, del Salento, del Piemonte Orientale e di Genova (per l'archeometria). I professori e i loro collaboratori pubblicheranno numerosi articoli che permetteranno ad altri studiosi di ampliare e giustificare nuovi studi.


Nella foto: 1988, messa di Don Tito Minaglia nella chiesetta appena liberata dai detriti ad opera del Centro Culturale